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 Oggetto del messaggio: Il concetto di sottospecie
MessaggioInviato: 26 marzo 2012, 20:23 
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Vorrei proporvi alcune riflessioni tratte da un lavoro del 1997, che non si occupava di orchidee spontanee, ma che trovo
possa essere molto interessante come spunto di riflessione per affrontare questo argomento!

Buona lettura!

Luca
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Tratto da: Giorgio Castellini, 1997 - CONSIDERAZIONI SULLA CATEGORIA DI SOTTOSPECIE E CONSEGUENTI PROPOSTE TASSONOMICHE A PROPOSITO DI ALCUNI COLEOTTERI PSELAFIDI, CON OSSERVAZIONI SUL SIGNIFICATO FILOGENETICO E FUNZIONALE DELLE STRUTTURE COPULATRICI. Atti Mus. Stor. nat. Maremma, 16: 101-121


Riassunto. La sottospecie è una categoria tassonomica, non sistematica: essa è ammissibile solo quando la si possa riconoscere come indizio di speciazione, in presenza di caratteri differenziali costanti, di un ‘omogenea e significativa distribuzione sul territorio, di fattori di isolamento riproduttivo ed in assenza di sovrapposizione geonemica con altre sottospecie. […]


Testo. Non c’è dubbio che la tassonomia sia stata a lungo dominata da quello che viene comunemente definito approccio tipologico al concetto di specie. Secondo tale orientamento la specie è pensata come un’entità metafisica, ideale, un “tipo” fermo ed invariabile fornito di determinate caratteristiche, tutte alquanto restrittive, alle quali gli individui possono corrispondere oppure no; di conseguenza, tutto ciò che in quel “tipo" non è collocabile, è qualcos‘altro, una sottospecie, una varietà e così via.
Ne è derivata un’eccessiva importanza accordata alla variabilità morfologica, per cui si è attribuito valore anche alle variazioni di minor rilievo, intraspecifiche, locali, ecofenotipiche etc. (GLAUBRECHT 1995: 119). La nomenclatura ne è rimasta appesantita senza vantaggio alcuno per la sistematica. A rafforzare indirettamente il concetto tipologico di specie ha giovato anche il fatto che il criterio più largamente usato nella pratica tassonomica (ma anche il solo possibile nella maggior parte dei casi) è quello morfologico, quello cioè fondato sui caratteri somatici osservabili negli organismi; il criterio morfologico, di fatto, si concreta sostanzialmente come tipologico anche quando la nozione che si ha della specie è informata a connotati biologici (GIUSTI & MANGANELLI 1992: 155), giacché quando si osservano ì caratteri di un organismo allo scopo di deciderne l’appartenenza ad una certa specie bisogna pure avere in mente un quadro di riferimento, un insieme di caratteri posti come termine di confronto, per vedere se l’organismo vi corrisponde oppure no.
L'approccio popolazionista, invece, vede la specie semplicemente come una categoria concettuale priva di realtà oggettiva: la sola realtà è quella costituita dagli individui che formano le popolazioni e che costituiscono la specie; ogni individuo ha caratteri propri ed è diverso da qualunque altro, per cui la specie può essere definita solo in termini statistici, come media della variabilità osservata ovvero come intervallo di variabilità tra due valori estremi. Il prevalere del pensiero popolazionista a danno di quello tipologico, in questi ultimi decenni, conferisce alla specie un valore collettivo; la variabilità individuale e la variazione dei caratteri su base popolazionale divengono una componente della nozione stessa di specie. Il tipo non esiste, come non esistono individui “tipici”, e le variazioni di minor rilievo (sottospecie etc.) perdono significato. Ne discende, fra l’altro, che la descrizione di una nuova specie eseguita sull’holotypus, come accede ancor oggi di notare e salvo il caso in cui non si disponga che di quell’unico esemplare, è riduttiva dato che riflette solo una porzione della realtà, quella appunto rappresentata dai caratteri dell’holotypus: di qui la necessità che quale holotypus venga scelto l'individuo che più di qualunque altro della serie tipica esprime la media dei caratteri osservati negli esemplari disponibili. Il concetto popolazionista di specie appare più adeguato per la lettura della realtà biologica, ma all’interno di esso la categoria di sottospecie scade a livello meramente descrittivo, configurandosi semplicemente come elemento della variabilità interpopolazionale.

Quale premessa alle argomentazioni successive, occorre qui richiamare la distinzione tra sistematica e tassonomia. La sistematica è il tentativo di ricostruire i rapporti filogenetici tra i gruppi di organismi, in vista dell’edificazione di un sistema che sia lo specchio delle affinità naturali intercorrenti fra questi ultimi. La tassonomia riconosce, descrive e denomina gli organismi, collocandoli in gruppi gerarchicamente ordinati; la tassonomia è uno degli strumenti della sistematica, giacché per discutere sulle cose è necessario che le cose abbiano un nome il cui significato sia riconoscibile (e possibilmente condiviso) da tutti gli interlocutori. Ne segue la distinzione tra categoria sistematica e categoria tassonomica: la prima è un livello della ricostruzione filogenetica, la seconda è semplicemente una classe nomenclatoriale, un artificio per raggruppare gli organismi secondo gradi diversi di affinità.
Sotto l’aspetto sistematico la sottospecie non appare giustificabile. Il sistema riflette una situazione puntuale, uno stato di fatto in un momento arbitrariamente scelto della filogenesi. La specie è l’unità fondamentale per la ricostruzione del sistema (essa è, fra l’altro, la categoria che può essere definita in modo meno soggettivo rispetto a qualunque altra); filogeneticamente la specie è l’esito attuale di un certo cammino evolutivo, la conseguenza di una serie di processi cladogenetici o anagenetici che ad essa hanno condotto. Dal punto di vista del sistema, è chiaro che la sistematica non ha alcun bisogno di conoscere la sottospecie, giacché se questa è la manifestazione della variabilità intraspecifica, altro non è che la specie stessa; se invece è il palesarsi di un processo di speciazione che potrà eventualmente sfociare nella nascita di una nuova specie, essa è ancora, per il momento, la specie di partenza. E’ poi del tutto superfluo illustrare, in un sistema, il fatto assolutamente ovvio che due o più sottospecie siano derivate da una specie determinata.

Se la sistematica può ignorare la sottospecie, altrettanto non può fare la tassonomia, che è di natura descrittiva e che trova uno dei suoi fondamenti dell'esistenza delle diversità rilevabili negli organismi; essa dunque tende a non trascurare la presenza di elementi di variabilità oggettivamente valutabili tra popolazioni di una stessa specie viventi in aree diverse: la categoria di sottospecie appare come una opportunità della tassonomia, nella luce di una più dettagliata percezione della biodiversità. Ma affinché a tale livello la tassonomia abbia un senso in rapporto agli scopi della sistematica, occorre che la variabilità interpopolazionale sia ravvisabile quale indizio di una possibile, anche se non certa, speciazione; e ciò quando ricorrano circostanze intrinseche (costanza ed estensione della variazione) ed estrinseche (ostacoli al flusso genico) che possano confortare tale ipotesi (OMODEO 1988: 322).
Riconoscere l’esistenza di una sottospecie significa osservare un momento della cladogenesi.
Le variazioni affermatosi sia come risposta alla pressione selettiva dell‘ecosistema, sia come conseguenza della deriva genetica, possono rendersi manifeste solo in popolazioni che per qualche motivo siano ostacolate, se non impedite, nello scambio del patrimonio genetico con altre popolazioni confinanti o vicine; ecco perché la sottospecie che possiamo identificare per un certo numero di caratteri differenziali non può non avere una componente geonemica, non può avere senso se non in relazione ad una definita presenza sul territorio. Di qui il necessario significato geografico della sottospecie; di qui anche il corollario che le sottospecie debbano essere fra loro vicarianti. La sottospecie è una popolazione isolata che si evolve separatamente dalle altre (PIERRE 1992: 114). Che le sottospecie debbano essere vicarianti non esclude il fatto che i loro areali possano presentare zone di tangenza più o meno estese; anzi, è proprio l’esistenza di popolazioni con caratteri intermedi fra le sottospecie, riscontrabili appunto nelle zone di contatto tra i rispettivi areali, che conferma il rango subspecifico dei complessi presi in esame (BEER 1952: 200).

Riassumendo, sì alla sottospecie, ma solo come categoria tassonomica e purché sia interpretabile come indizio di un evento di speciazione; la sottospecie dovrà essere confortata da elementi intrinseci alle popolazioni, quali la costanza dei caratteri differenziali, un’omogenea e significativa estensione sul territorio (con l’eccezione, ovviamente, di quelle specie che, per essere vincolate a biotopi peculiari, manifestano una distribuzione ristretta, oppure che si presentano con popolazioni numericamente modeste) e l’assenza di sovrapposizione geonemica fuorché, eventualmente, nelle zone di contatto; la sottospecie dovrà inoltre essere supportata da fattori di isolamento, cioè da barriere riproduttive comunque attive ed in varia misura efficaci, palesi o presunte.
Sarà il caso, infine, di tener presente che le sottospecie, ad eccezione di quelle stabilmente isolate in condizioni di allopatria da fattori geologici, possono essere considerate in qualche modo provvisorie, dato che non si può escludere un loro futuro rimescolamento con conseguente riassorbimento delle forme clinali; ciò, naturalmente, in una prospettiva temporale che si colloca al di là di ogni concreta osservabilità, ma che nondimeno deve indurre a qualche prudenza nelle valutazioni, particolarmente laddove i caratteri differenziali manifestino minore stabilità oppure tendenza all’attenuazione. Nei limiti e con le caratteristiche qui delineati, è evidente che la sottospecie vede sensibilmente ridursi le occasioni di applicabilità; così intesa essa appare peraltro in sintonia con un indirizzo teorico che oggi riscuote vastità di consensi, e che in qualche autorevole caso persino ne adombra la soppressione (LA GRECA 1987: 167, MINELLI 1994: 75). La sottospecie è una categoria tassonomica, non sistematica; essa si fonda su presupposti ad un tempo morfologici e geonemici e descrive un momento del processo di speciazione.

[…]


Bibliografia

GLAUBRECHT M., 1995 - The dynamics of areas: historical and zoogeographical evaluation of the distribution in land snails assigned to Levantina s. lat. Mitt. hamb. zool. Mus. Inst., 92: 117-148.

GIUSTI F. & MANGANELLI G., 1992 - The problem of the species in malacology after clear cvidence of the limits of morphological systematics. Proc. ninth. int. malacol. Congr., (1986): 153-172

OMODEO P. 1988 - Il mestiere del tassonomo e la sistematica moderna. ln: OMODEO P. et al. (eds.) II problema biologico della specie. U.Z.I., Probl. biol. Stor. nat., 1: 319-327.

PIERRE J., 1992 - Systématique évolutive et cladistique: approche morphologique, spéciation et génation, application chez les Acraea. Boll. Soc. ent. Fr., 97: 105-118

BEER S., 1952 - I problemi del complesso sistematico. ln: BEER S. & SACCHETTI A., Problemi di sistematica biologica. Edizioni Scientifiche Einaudi, Torino: 175-275

LA GRECA M., 1987 - L’uso delle categorie sistematiche sottogenere e sottospecie in tassonomia, alla luce della ricerca biogeografica. Boll. Ist. Ent. Guido Grandi, 41:159-171

MINELLI A., 1994 - Biological Systematics. The state of the art. Chapman & Hall, London: 1-387


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 Oggetto del messaggio: Re: Il concetto di sottospecie
MessaggioInviato: 26 marzo 2012, 20:46 
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Bravo luca, articolo estremamente interessante. Come sempre i miei complimenti per questo tipo di articoli che ogni tanto ci proponi e che riesci in qualche modo a scovare. Sei veramente BRAVO.
Un saluto e un ringraziamento da Bruno.


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 Oggetto del messaggio: Re: Il concetto di sottospecie
MessaggioInviato: 27 marzo 2012, 14:49 
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Articolo di indubbio interesse. Non se ne trovano molti che trattano questo tema in modo così chiaro :)


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 Oggetto del messaggio: Re: Il concetto di sottospecie
MessaggioInviato: 29 marzo 2012, 11:52 
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Per chi volesse approfondire la questione suggerisco un altro articolo in inglese, di cui vi traduco solo un passo che trovo molto significativo! ;)

James Mallet, University College London - SUBSPECIES, SEMISPECIES, SUPERSPECIES. Encyclopedia of Biodiversity, 2007, Elsevier Inc.


Darwin usa il termine "specie" in un senso nuovo e non essenzialista: "...la completa assenza, in una regione ben studiata, di varietà, che legano insieme due forme strettamente affini, è probabilmente il più importante di tutti i criteri di distinzione specifica. La distribuzione geografica viene spesso messa in gioco, inconsciamente e a volte consciamente; così che forme che vivono in due zone molto distanti, in cui la maggior parte degli altri abitanti sono specificamente distinti, sono essi stessi di solito visti come distinti, ma in verità questo non offre alcun aiuto nel distinguere le razze geografiche, dalle cosidette buone o vere specie'' (Darwin, 1874).


Ciao,
Luca


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 Oggetto del messaggio: Re: Il concetto di sottospecie
MessaggioInviato: 22 ottobre 2012, 18:00 
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Dato che l'altro giorno, alla richiesta di spiegare il concetto di sottospecie, sono stato forse poco chiaro, o piuttosto elusivo, rimandando a questa precedente discussione, vorrei ora tornarci, per approfondire un po' la questione.

Vorrei innanzitutto fare un salto indietro nel tempo esattamente di 20 anni. Nel 1992 Clement Hamilton e Sarah Reichard pubblicarono un articolo intitolato: Current practice in the use of subspecies, variety, and forma in the classification of wild plants - ovvero: La prassi attuale nell'uso delle sottospecie, varietà e forme nella classificazione delle piante selvatiche. I due autori andarano ad analizzare una quantità piuttosto elevata di monografie e pubblicazioni, studiando quali fossero "le abitudini" dei tassonomisti! Presero in esame 494 monografie e revisioni nel periodo 1987-1990, nelle quali erano trattate 8043 specie in tutto. Di queste, 661 specie, circa l'8% delle specie pubblicate includevano taxa a livello infraspecifico. Di queste, circa il 42% era stato pubblicato come sottospecie, il 52% come varietà, il 3% come forma e un altro 3% in taxa di più di un livello.

Sottospecie e varietà sono generalmente definiti come taxa che richiedono alcune caratteristiche importanti: isolamento geografico, ecologico e/o filogenetico, oltre chiaramente alla morfologia, e questo probabilmente ne scoraggia l'uso da parte dei tassonomi. Nonostante alcuni tentativi di distinguere le sottospecie dalle varietà spesso nella pratica risultavano usati quasi come sinonimi. Gli autori rilevarano che i tassonomi europei tendevano a favorire l'uso delle sottospecie, mentre i tassonomi americani preferivano di gran lunga l'uso delle varietà. Le forma, in genere venivano definiti come prive di qualsiasi carattere extramorfologico.

I due autori, data la confusione ed arbitrarietà trovata nell'uso dei taxa infraspecifici, auspicavano che più autori indicassero brevemente la propria filosofia sull'uso della tassonomia infraspecifica, così da poter comprendere meglio le loro classificazioni. Ritenevano inoltre che i tassonomi, collettivamente, avrebbero dovuto promuovere una maggiore standardizzazione nell'uso della classificazione infraspecifica, in vista anche dell'allora prossimo raduno per stilare in nuovo codice ICBN. Hamilton e Reichard evidenziavano inoltre come, nonostante non passase un anno senza che almeno un nuovo articolo pretendesse di spiegare a tassonomi, biologi evolutivi ed ecologisti come risolvere "il problema delle specie", il tema della classificazione infraspecifica riceveva invece una attenzione molto più sporadica, arrivando a citare addirittura un lavoro del 1986 in cui si riportava una presunta "tendenza... a collocare nuovi organismi a livelli inferiori della sottospecie in gran parte abbandonata". I due autori svolsero dunque questo lavoro ponendosi delle domande, al fine di documentare e valutare tale contesto, e presentare poi delle proposte di modifica del Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica (Greuter et al., 1988)

Le domande erano:

1. Quanto comunemente i tassonomi usano la classificazione infraspecifica?
2. Quante volte, i diversi gradi infraspecifici - sottospecie, varietà e forma - sono utilizzati per la classificazione delle piante selvatiche?
3. In quali circostanze i tassonomi riconoscono ai taxa, ranghi di sottospecie e varietà?
4. Sottospecie e varietà sono comunemente percepite come ranghi distinguibili e, se così, su quali basi?
5. In quali circostanze i tassonomi riconoscono ai taxa il rango di forma?
6. In quali circostanze i tassonomi impiegano più di un rango infraspecifico all'interno di una specie?
7. Ci sono diverse scuole di pensiero per quanto riguarda l'uso della classificazione infraspecifica?
8. Quante volte gli autori esplicitano la loro filosofia sulla classificazione infraspecifica?
9. Quanto spesso una qualche forma di analisi numerica e presentazione grafica accompagna le classificazioni infraspecifiche?
10. Su quali punti c'è abbastanza concordanza, per basare specifiche raccomandazioni per una standardizzazione nell'utilizzo dei livelli infraspecifici?

Le risposte ovviamente sono tutte nell'articolo, io mi limiterò a riportare alcune osservazioni di Hamilton e Reichard:

Diversi autori dichiarano di abbandonare volutamente taxa precedentemente rilevati come infraspecifici al fine di aumentare la chiarezza e la semplicità di classificazione: "In alcuni casi, infatti, ogni considerazione sulle forme, varietà o sottospecie, è in realtà una fonte di confusione, ed è molto meno pratico". Altri autori dichiarano una insufficiente conoscenza dei modelli morfo-geografici, per poter usare con sicurezza la classificazione infraspecifica, e implicitamente criticano quei tassonomi che lo fanno a casaccio: "Sento che il riconoscimento delle categorie infraspecifiche, che si tratti di sottospecie o varietà, implica una conoscenza di rapporti e relazioni che non ho... un buon numero di specie sono polimorfiche e alcune in modo esagerato. Questi possono essere considerati come i miei fallimenti e affido questi soggetti ai futuri ricercatori per ulteriori studi - augurando loro gioie" (Taylor, 1989). Alcuni autori sono stati volutamente conservativi e hanno risparmiato sull'uso di livelli infraspecifici, ad esempio, Beaman (1990): "Il riconoscimento di taxa infraspecifici è stato evitato, ma una sola eccezione è stata fatta... andare al di là di questo caso eccezionale avrebbe spalancato le porte al riconoscimento di un gran numero di varianti minori". Molti altri autori, ancora, come Goldblatt (1990) e Peng (1989), spesso preferiscono discutere a fondo di modelli di variabilità, senza riconoscere taxa infraspecifici.


Presentato l'articolo, vorrei aggiungere alcune considerazioni. A distanza di 20 anni purtroppo una standardizzazione internazionale nell'uso dei vari livelli infraspecifici ancora non è stata raggiunta, confido nella prossima edizione dell'ICBN, di cui sono già state pubblicate le prime bozze, e che, ricordate, non si chiamerà più ICBN (International Code of Botanical Nomenclature) bensì ICNAF (International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants), anche se non credo che troveremo neanche questa volta delle chiare indicazioni d'uso per i vari livelli infraspecifici. In questi ultimi anni la tassonomia, almeno per quanto riguarda le orchidee spontanee, ha in larga parte abbandonato i livelli infraspecifici, continuando comunque a sfornare una quantità considerevole di nuovi taxa, quasi tutti a livello specifico, credo sia allora giunta l'ora di rivedere un po' la tassonomia, in chiave sistematica, che per troppi anni è stata trascurata!

Se Delforge è arrivato a descrivere qualcosa come 251 specie (raggruppate in 32 complessi), e Bateman e altri con le ricerche genetiche ritengono che di specie filogeneticamente separate ne esistono 10, forse 12, allora credo sia il caso di iniziare a capirci qualcosa! Non metto in dubbio che ricercatori che spendono giorni e mesi interi sul campo, macinando chilometri e chilometri, possono avere una conoscenza maggiore della morfologia delle orchidee, riconoscendo caratteri più o meno evidenti che possono differenziare in qualche modo queste piante, ma oltre a rilevare queste differenze, credo sarebbe opportuno andare ad indagare maggiormente e più approfonditamente il perchè di queste più o meno evidenti differenze. Quanti di questi ricercatori che spendono mesi sul campo sono andati ad indagare se le piante che hanno descritto sono riproduttivamente o filogeneticamente isolate?

Ci sono specie "per ora" assolutamente indistinguibili dal punto di vista genetico (es. Ophrys sphegodes ed Ophrys exaltata) (e che quindi non si separano secondo il PSC e secondo Bateman) ma quando studiate a fondo (Xu et al. 2011, Sclhuster et al. 2010) si sono rivelate ben isolate riproduttivamente (quindi secondo il BSC sono due specie diverse) e ovviamente sono ben distinte anche morfologicamente e soprattutto per gli odori che emettono. In altri casi la differenza morfologica non è corrisposta da un isolamento riproduttivo o anche, cose morfologicamente molto simili sono parzialmente isolate riproduttivamente ( è il caso di O. sphegodes della campania e della puglia) perchè hanno odori differenti ed attirano insetti differenti.
In linea di principio ogni volta che si instituisce una nuova specie andrebbe indagato a fondo il suo isolamento riproduttivo e la sua filogenesi, ma vista la quantità di materiale ad oggi descritto, attualmente è quasi del tutto impossibile per tempi di processazione richiesti dai laboratori di genetica vegetale e per i costi. Ecco perchè dunque, sono dell'opinione che tra le 251 specie di Delforge e le 19 specie (di Ophrys) di Pedersen e Faurholdt o le 10 specie di Devey, Bateman et al, ritengo anch'io, come alcuni studiosi mi hanno suggerito, sia più appropriata una posizione intermedia tipo quella del Kreutz, che fa largo uso della nomenclatura infraspecifica, dando spazio a sottospecie, varietà e forme, per tutte quelle "ipotetiche specie" con attribuzione solo morfologica, nell'attesa di studi più approfonditi.

Di seguito vi riporto il link dell'articolo visto all'inizio e alcuni altri, che seppur a titolo più generico, a mio avviso sono altrettando interessanti!

Current Practice in the Use of Subspecies, Variety, and Forma in the Classification of Wild Plants - 1992
Clement W. Hamilton and Sarah H. Reichard - http://faculty.washington.edu/reichard/ ... ichard.pdf


Systematics and the Origin of Species, from the Viewpoint of a Zoologist Di Ernst Mayr - 1942
http://books.google.it/books?id=mAIjnLp ... &q&f=false

The Subspecies Concept and Its Taxonomic Application - E.O. Wilson, W.L. Brown, jr. - 1953
http://sysbio.oxfordjournals.org/content/2/3/97.extract

The subspecies concept in the 1980's - John P. O'Neill - 1982
http://elibrary.unm.edu/sora/Auk/v099n0 ... -p0612.pdf

Taxonomic Considerations in Listing Subspecies Under the U.S. Endangered Species Act - aa.vv. - 2006
http://quinnkesler.net/storage/publications/CBSubsp.pdf

Subspecies, Semispecies, Superspecies - James Mallet - 2007
http://www.ucl.ac.uk/taxome/jim/Sp/Sub-semi.pdf

Sottospecie, Popolazioni, Razze - Lezione di Genetica delle popolazioni - prof. S. Presciuttini - (a.a. 2011-2012)
http://statgen.dps.unipi.it/courses_fil ... iRazze.pdf

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:ciaoo:
Luca

«Nomina si nescis, perit et cognito rerum» - Se si ignora il nome delle cose, se ne perde anche la conoscenza. C. Linnaeus, Philosophia botanica (1751)

«I was much struck how entirely vague and arbitrary is the distinction between species and varieties. Charles Darwin, On the Origin of Species (1859)

«This disagreement regarding bee orchid diversity represents a particularly extreme example of a phenomenon that frequently afflicts taxonomy - a dichotomy between researchers who divide natural variation into as many units as possible (splitters) and others who aggregate those subtly different units into entities that they consider to be either more easily recognised or more biologically meaningful (lumpers)» - R.M. Bateman

«Un fiore, anche il più insignificante, è la mirabile risultanza di un collaudato progetto genomico, di precisi equilibri ecologici, dell'azione congiunta del sole, del terreno, della pioggia e della rugiada, del vento e degli insetti impollinatori. Quale unica specie consapevole della complessità di questi processi e della preziosità del risultante dono, è nostro dovere promuoverne la conoscenza e prodigarci per la sua protezione» - G. Sciarretta


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Nomenclatura GIROS - Biodiversity Heritage Library - IPNI, International Plant Names Index - Kew Gardens Checklist



Ultimo bump di Luca Oddone il 22 ottobre 2012, 18:00.


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