G.I.R.O.S. - Gruppo Italiano per la Ricerca sulle Orchidee Spontanee

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Rispondo qui alla domanda fatta da Riccardo in un'altra discussione:

ricki51 ha scritto:
Approfitto di questo dialogo per chiederti se conosci qualche ragione per cui le ricerche genetiche sulle Epipactis, al contrario di altri generi, sembrino incontrare grosse difficoltà. Noi abbiamo collaborato per molti anni con il prof. Cozzolino, per fornire materiale di sicura identificazione su cui effettuare le analisi. Ma pare che al momento gli studi abbiano ancora bisogno di tempo.
Te lo dico perché a me è venuto un dubbio: e se Epipactis fosse un genere di una singola specie?
Orco che scoop: atrorubens, palustris e nordeniorum subsp. maricae tutte variabilità di helleborine!
Questo spiegherebbe bene gli imbarazzi dei genetisti e offrirebbe pure una soddisfazione irripetibile a parecchi amici del Giros. Solo ti chiedo, nel caso nemmeno tanto assurdo che la genetica possa arrivare a una conclusione del genere, noi saremmo ancora autorizzati a catalogare le differenze fenotipiche, oppure verremmo relegati in un limbo di inutilità e disperazione?
Pondera bene la tua risposta, perché non rispondo delle reazioni di Luciano, quando gli comunicherò la cosa. Ciao Riccardo



Come dicevo, facendo una rapida ricerca tra le pubblicazioni recenti, ho trovato un lavoro proprio di Cozzolino. Non so dire con certezza se tale lavoro rappresenti la pubblicazione dei risultati ottenuti, anche dalla vostra collaborazione (sono riportate varie località anche dell'Emilia Romagna, per cui potrebbe essere), ma direi che per la complessità delle indagini svolte, è sicuramente un lavoro interessante, punto di partenza, per noi, per fare alcune considerazioni sulle Epipactis di casa nostra!

Innanzitutto l'articolo, che è scaricabile online. Eravate a conoscenza di questa pubblicazione?

V. Tranchida-Lombardo, D. Cafasso, A. Cristaudo and S. Cozzolino, (2010) - Phylogeographic patterns, genetic affinities and morphological differentiation between Epipactis helleborine and related lineages in a Mediterranean glacial refugium. Annals of Botany, Page 1 of 10.

Supplemental Table - Supplemental Figure.


Dopo una rapida lettura, lo confesso un po' superficiale, appare chiaro che gli autori sono andati ad analizzare geneticamente molte specie di Epipactis, provenienti da molteplici stazioni e località, italiane ed estere, e ne abbiano identificato aplotipo e ribotipo, basandosi sulle sequenze del DNA plastidico e del RNA ribosomale. Qui ci sarebbe da aprire una ulteriore, lunga, discussione per spiegare di cosa stiamo parlando, e perchè la scelta è ricaduta proprio su queste sequenze, ma dovremmo affrontare temi piuttosto complessi e specialistici. Per cui, in modo più semplice e sintetico possibile, possiamo dire che:

I plastidi sono particolari organuli della cellula vegetale. All'interno dei plastidi è presente una matrice (stroma) cioè un compartimento idrofilo contenente DNA, ribosomi, precursori metabolici, prodotti finali ed enzimi abilitati al funzionamento biochimico dell’intero organulo. Il DNA plastidiale è un filamento circolare di 0,04mm-0,3 mm di lunghezza caratterizzato da una marcata presenza della coppia guanosina-citosina. Avendo un DNA proprio e dei propri ribosomi i plastidi sono degli organuli semi-autonomi in quanto possono sintetizzare delle proteine indipendentemente dall'informazione genetica del genoma nucleare. Il DNA plastidico è ereditato per via materna.

L'aplotipo è la combinazione lungo un cromosoma, segmento cromosomico, o filamento di DNA, di una sequenza di geni strettamente e statisticamente associati tra di loro (linkage disequilibrium), e che in genere, vengono ereditati insieme, costituendo di solito una particolare sequenza (aplotipo) ancestrale, diffusa nella popolazione in cui è rilevato, perché trasmesso lungo la discendenza da un comune progenitore. In questo caso è stato analizzato l'aplotipo del DNA presente all'interno dei plastidi, ovvero il DNA plastidico o plastidiale.

Il ribotipo invece, analogamente al genotipo che è il contenuto della informazione genica scritta in DNA, è il contenuto della informazione genica, ma espressa in RNA. Il DNA infatti è solo uno dei due acidi nucleici contenuti nella cellula, l'altro è l'RNA. Il DNA prima di essere tradotto in proteine, viene trascritto in RNA messaggero (mRNA), una molecola intermedia, che consente alla cellula di leggere cosa c'è scritto nel DNA. Ad un singolo filamento di DNA spesso possono corrispondere svariati filamenti di RNA (ribotipi), nel senso che la cellula può leggere e trascrivere lo stesso filamento di DNA in vari modi diversi! Esistono poi l'RNA ribosomale (rRNA) (RNA che va a costituire i ribosomi, ovvero particolari strutture altamente conservate, e deputate a tradurre l'RNA messaggero in proteine, ed è a questo tipo che di RNA che si fa riferimento in questo studio) e infine l'RNA transfer (t-RNA) che trasporta gli amminoacidi (unità strutturale di base delle proteine) ai ribosomi. Esistono anche alcuni altri tipi di RNA negli eucarioti ma possiamo tranquillamente trascurarli!



Venendo all'articolo, o meglio a quello che più ci può interessare di esso, facendo varie analisi gli autori hanno individuato per ogni specie, come dicevamo, vari aplotipi e ribotipi, riassunti nella seguente tabella. Gli aplotipi sono stati identificati con la lettera E (E1-E19) mentre i ribotipi con la lettera R (R1-R7).

Allegato:
aplotipi e ribotipi.JPG
aplotipi e ribotipi.JPG [ 39.01 KiB | Osservato 12434 volte ]



Nell'articolo viene presentata un'altra tabella in cui sono rappresentate le differenze di sequenza tra i vari aplotipi identificati, ovvero le mutazioni significative rilevate, ma probabilmente molto più interessanti, sono le tabelle subito successive, con la rappresentazione dei dati ottenuti dalle analisi.

Allegato:
mutazioni.JPG
mutazioni.JPG [ 54.67 KiB | Osservato 12422 volte ]



Albero filogenetico basato sui ribotipi. (Ho aggiunto direttamente i nomi delle specie a cui la sigla del ribotipo o aplotipo fanno riferimento).

Allegato:
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tree.JPG [ 35.22 KiB | Osservato 12434 volte ]



Network d'analisi basato sugli aplotipi.

Allegato:
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tree2.JPG [ 42.39 KiB | Osservato 12428 volte ]




Discussione e risultati. (traduzione dell'articolo di Cozzolino et al., più alcune considerazioni personali)

Gli autori non parlano di Epipactis come di un genere di una singola specie, ne tanto meno di atrorubens, palustris e nordeniorum subsp. maricae tutte variabilità di helleborine, bensì dimostrano di aver individuato sulle popolazioni studiate una serie di aplotipi e ribotipi che consentono di avanzare delle considerazioni interessanti e delle ipotesi sulla evoluzione filogeografica del genere Epipactis, che sembra essere piuttosto complessa!
Il primo risultato da non sottovalutare è che la sequenza utilizza di DNA plastidico, rbcL–accD intergenic spacer, è stata utile per fare considerazioni ed analisi di tipo filogeografico, ma poco utile per avanzare ipotesi di filogenesi delle specie, dato che è stata trovata un'unica mutazione a singola base (in posizione 259 nel allineamento dell'aplotipo plastidico) che consente però di individuare due principali gruppi di specie (il gruppo di E. helleborine da una parte ed un secondo gruppo formato da E. atrorubens /E. microphylla / E. muelleri / E. leptochila).
In questo caso, tenuto conto della ampia distribuzione di queste specie e della presenza di popolazioni talvolta anche piuttosto numerose, è possibile ipotizzare che la bassa variabilità del DNA plastidico, almeno in termini di sostituzioni di basi, è probabilmente dovuto al differenziamento recente delle varie specie, piuttosto che ad un "basso tasso di mutazione" o a fenomeni di deriva genetica, quali ricorrenti "colli di bottiglia", fenomeni che fortemente riducono la variabilità dell'aplotipo plastidico.

[Inciso: Il fenomeno del "collo di bottiglia" nella deriva genetica, è un fenomeno che si verifica quando il numero di individui facenti parte di una popolazione, viene ridotto drasticamente da forze atipiche nella selezione naturale (distruzione della quasi totalità di una popolazione per eventi esterni) o ne viene isolata definitivamente una parte, (spostamenti migratori anomali, barriere geografiche). Ovviamente se solo una parte esigua della popolazione generale sopravvive, o comunque sopravvive isolata dal resto della popolazione, tali sopravvissuti potranno, per il passaggio attraverso un "collo di bottiglia" metaforico dal quale risultano unici o isolati, rigenerare la popolazione originale avendo a disposizione solo il proprio corredo genetico, che non può essere significativo di tutta la popolazione generale della propria specie di origine, anzi sarà molto limitato. La conseguente riduzione della variabilità genetica può giungere alla criticità e tendere ad eliminare del tutto alcuni alleli (caratteri fenotipici), ma anche a far sì che altri vengano rappresentati in eccesso nel pool genico. Alcuni caratteri fenotipici della specie potranno dunque scomparire o altri essere espressi in modo eccessivo. La deriva genetica ha come effetto quello di far divenire un allele e dunque il fenotipo da esso rappresentato, più comune o più raro col passare di generazioni successive. Pensando alla divergenza o alla presenza/assenza di certe gibbe, o al campo basale diviso o indiviso o a forma di ali di farfalla, o alla cavità stigmatica più o meno ampia, mi viene da pensare che certe popolazioni di Ophrys fuciflora che "ci" appaiono tanto differenti le une dalle altre, morfologicamente, non siano poi così diverse! ;) ]


Tornando alle Epipactis, il modello filogeografico di questo studio, mostra un singolo aplotipo plastidiale principale per ciascuna specie, caratterizzata da un'ampia distribuzione geografica nella penisola italiana: E. helleborine (E1), E. muelleri (E10), E. microphylla (E7), E. leptochila (E3), E. atrorubens (E5), e alcuni aplotipi unici o rari con distribuzioni localizzate. I cinque aplotipi plastidici ampiamente diffusi possono essere suddivisi in un network di analisi in due gruppi principali: Uno composto dai quattro aplotipi plastidici (E10, E7, E3 ed E5) e l'altro composto solamente da E. helleborine (s.s. e s.l.) con aplotipo plastidiale E1 .

Risulta dunque che, volenti o nolenti, E. muelleri, E. microphylla, E. leptochila ed E. atrorubens, sono tutte strettamente correlate (uno o due step mutazionali), e risultano anche vicine ad altri aplotipi plastidici poco diffusi (E8) condiviso da certe E. microphylla e E. atrorubens, o geograficamente localizzati (E11, E12, E15 ed E6, ovvero in ordine E. muelleri i primi tre ed E. microphylla E6). Epipactis microphylla e E. atrorubens possono condividere un aplotipo plastidico comune (E8) fatto che non può essere facilmente spiegato come conseguenza del flusso genico tra le due specie, che possiedono differenti ribotipi nucleari. Una potenziale alternativa per spiegare questo modello è che l'aplotipo plastidiale E8 rappresenta l'aplotipo plastidico ancestrale di queste due specie di recente evoluzione. Questa ipotesi è supportata dal network di analisi, in cui si osserva la posizione intermedia di E8 tra gli aplotipi plastidici E5 (tipico di E. atrorubens) e E7 (tipico di E. microphylla) e dal fatto che gli individui di E. microphylla ed E. atrorubens con aplotipo plastidiale E8 hanno sempre il ribotipo ancestrale R1.
Una alternativa per spiegare questo accoppiamento non selettivo, tra genomi nucleari e citoplasmatici, sarebbe quella di ipotizzare la presenza di incroci e autofecondazione tra popolazioni di queste due specie, allogame facoltative.

Le strette connessioni tra gli aplotipi presenti in Sardegna e quelli dell'Italia centrale può essere attribuita a cicli glaciali del Quaternario, che, a causa dei presunti collegamenti che a quel tempo erano presenti tra il blocco Corso-Sardo e l'attuale Toscana, hanno permesso uno scambio biotico attraverso l'arcipelago toscano. L'attuale diversità di aplotipi plastidiali in Sardegna è rappresentato da una combinazione di due aplotipi unici (E11 ed E15, di E. muelleri) e aplotipi condivisi con la terraferma (E1, E8, ed E10). Questi ultimi casi riguardanti gli aplotipi E8-E10 ad ampia diffusone(di E. muelleri, E.microphylla ed E.atrorubens della pensinsula italiana) ed E1 (caratteristica di E. helleborine sempre della Italia peninsulare). Inoltre, i due aplotipi sardi geograficamente localizzati (E11 e E15) sono strettamente collegati all'aplotipo E7 della terraferma, ampiamente diffuso, e al raro aplotipo E12 (una singola mutazione) presente solo in Toscana e nelle isole dell'Arcipelago Toscano (Isola d'Elba), che presumibilmente ha agito da ponte tra l?italia centrale e la Sardegna.

La E. helleborine s.s. è caratterizzata da un unico aplotipo plastidiale ampiamente diffuso (E1) distribuito in tutta la penisola italiana, dalle Alpi alla Sicilia. Strettamente legato a questo aplotipo plastidiale principale (solo un passo mutazionale) ci sono alcuni aplotipi plastidici (E13, E2, E4 ed E16) con una distribuzione geograficamente localizzata (E4 è presente solo nelle montagne della Sila e E13 solo sul promontorio del Gargano).
Sorprendentemente, aplotipo plastidiale (E1) di E. helleborine ampiamente diffuso in Italia, ha mostrato molte differenze rispetto agli aplotidi plastidiali della E. helleborine s.s. prelevati sia in Germania settentrionale e meridionale (E18, tre mutazioni), Inghilterra (E19, otto mutazioni) e Spagna (E17, nove mutazioni).
Le differenze (dieci mutazioni) tra gli aplotipi di E. helleborine provenienti da Italia, Inghilterra e Spagna, confermando la presenza di un segnale filogeografico significativo in questa regione del plastidio, suggeriscono anche che esse rappresentano tutte differenti rotte di colonizzazione che non si sono più incontrate dopo l'ultima espansione post-glaciale.

Il minor numero di differenze tra gli aplotipi delle E. helleborine italiane e tedesche indica probabilmente che i due ceppi che hanno colonizzato l'Europa centrale e l'Italia, sono partiti da un antenato comune. Queste evidenze filogeografiche indicano che in Italia sono presenti solo due ceppi principali, uno composto da E. helleborine s.s. ed E. helleborine s.l. (per lo più caratterizzate dall'aplotipo plastidiale E1) e un secondo ceppo che comprende E. muelleri, E. microphylla, E. atrorubens ed E. leptochila.


Nel primo gruppo, imparentate strette di E. helleborine troviamo dunque:

E. aspromontana (E helleborine subsp. aspromontana); E. distans (E. helleborine sub. orbicularis); E. flaminia, E. greuteri, E. meridionalis, E. placentina,
E. pontica, E. purpurata, E. rhodanensis (E. bugacensis subsp. rhodanensis), E. schubertiorum (Epipactis helleborine subsp. schubertiorum), E. tremolsii (E helleborine subsp. tremolsii), E. voethii (E. helleborine subsp. helleborine), E. gracilis (E. exilis)


L'articolo prosegue con varie altre domande che gli autori si pongono ed ulteriori osservazioni, ma per ora mi fermo qui! :D


Allegato:
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«Nomina si nescis, perit et cognito rerum» - Se si ignora il nome delle cose, se ne perde anche la conoscenza. C. Linnaeus, Philosophia botanica (1751)

«I was much struck how entirely vague and arbitrary is the distinction between species and varieties. Charles Darwin, On the Origin of Species (1859)

«This disagreement regarding bee orchid diversity represents a particularly extreme example of a phenomenon that frequently afflicts taxonomy - a dichotomy between researchers who divide natural variation into as many units as possible (splitters) and others who aggregate those subtly different units into entities that they consider to be either more easily recognised or more biologically meaningful (lumpers)» - R.M. Bateman

«Un fiore, anche il più insignificante, è la mirabile risultanza di un collaudato progetto genomico, di precisi equilibri ecologici, dell'azione congiunta del sole, del terreno, della pioggia e della rugiada, del vento e degli insetti impollinatori. Quale unica specie consapevole della complessità di questi processi e della preziosità del risultante dono, è nostro dovere promuoverne la conoscenza e prodigarci per la sua protezione» - G. Sciarretta


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Caro Luca, ti rispondo subito per ringraziarti delle informazioni fornite. Non eravamo al corrente della pubblicazione e sinceramente forse un cenno avrebbe potuto anche esserci dato, visto che per anni abbiamo spedito materiale, impegnandoci nella massima attenzione per risultare precisi: capirai bene che inviare una ibridazione o una identificazione non esatta avrebbe poi compromesso il senso degli esami. Dovrò rileggere parecchie volte i dati, per inquadrare bene la cosa, perché sul momento non mi risulta facile comprendere tutto. Comunque, dalle prime osservazioni, sono allibito. Parrebbe che fenotipo e genotipo vadano per due strade completamente diverse. Che microphylla e atrorubens possano essere vicine lo si intuisce, ma muelleri, che ci sta a fare?
Ti porto l'esempio che qualunque studioso di Epipactis sottoscriverebbe a occhi chiusi: muelleri e placentina hanno un legame fenotipico evidentissimo, quando è stata fatta la specie si era a lungo pensato di metterla in sottospecie a muelleri. Ora le si presenta lontane e in due possibili gruppi diversi. Diciamo che sono perplesso, ma in realtà penso a qualcosa che non funzioni nel sistema. Per anni, quando chiedevamo lumi perché alcuni risultati ci sarebbero molto serviti per inquadrare alcune cose, ci è stato risposto che vi erano dei problemi e una risposta non era possibile. Ma forse giustamente non volevano rivelare i dati che alla fine. Comunque ora sembrano avere ottenuto dei risultati concreti, ma le conclusioni, davvero, per molte specie appaiono pazzesche. Greuteri affine a helleborine, mah. Comunque sinceramente, se le conclusioni genetiche per le Epipactis venissero confermate in futuro, e formulata di conseguenza una nuova nomenclatura, si finirà che chi va sul campo adotterà una propria diversa nomenclatura aderente al fenotipo, perché non è possibile e chiarificatore incontrare un gatto e doverlo chiamare cane. Comunque ancora grazie perché, se non era per te, noi avremmo pensato che le nostre foglie, amorevolmente raccolte, se le stessero ancora studiando, in attesa di capirci qualcosa. Ciao Riccardo


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ricki51 ha scritto:
, se le conclusioni genetiche per le Epipactis venissero confermate in futuro, e formulata di conseguenza una nuova nomenclatura
Ciao Riccardo


Per ora mi sembra tutto invariato a livello di nomenclatura, per fortuna!
Direi, grossolanamente, che si è cercato di capire, se più o meno lontanamente tali specie
possano aver avuto rapporti di parentela con E. helleborine (gruppo 1) o no (gruppo 2)... ;)

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Luca, meriti un grande rigraziamento per tutto il tuo tempo prezioso che metti a disposizione del Forum, oltretutto in modo così scientifico ed appassionato, bravo! :D (vale anche per gli interventi futuri! :mrgreen: :mrgreen: )
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Luca ha cercato di spiegarci un po’ il lavoro che viene fatto in un esame genetico: impegno sicuramente arduo perché i profani come noi ignorano il significato di troppi termini e troppe procedure. Comunque sicuramente ora sappiamo più di prima.
Penso sia corretto però, a questo punto, fornire pure qualche indicazione sulle procedure del nostro lavoro, per arrivare a conclusioni in campo di studio morfologico. Il mondo degli studiosi di Epipactis è da sempre un tantino esoterico, quindi non mi risulta che nessuno in Europa abbia mai stilato una sorta di protocollo, però ho avuto spesso la sensazione che parecchi colleghi stranieri non si discostino molto dai nostri metodi.
Noi abbiamo fissato una serie di elementi variabili nella pianta, che devono essere esaminati, documentati e confrontati. Si tratta di 29 fattori nel fiore-ovario e altri 16 nel fusto, foglie, infiorescenza, brattee. Noi documentiamo con regolarità ognuno di questi elementi, alcuni in macro spinta e ora anche in focus stacking, che ci permette una qualità di dettaglio fotografico un tempo impensabile.
Negli anni abbiamo rilevato come alcuni fattori possano avere variabilità all’interno di una stessa specie, o addirittura popolazione. Altri fattori presentano invece buona stabilità all’interno della specie, altri ancora si mantengono costanti all’interno di precise specie diverse.
Dalla comparazione sistematica di uguaglianza e diversità dei vari singoli elementi nelle piante e popolazioni, eseguite in anni diversi e con diverse situazioni climatiche, negli ultimi anni siamo riusciti a standardizzare giudizi, che un tempo era molto più difficile ottenere stabilmente, affidandoci alla sola capacità personale di riconoscimento sul campo. Attualmente abbiamo un database di molte, ma molte migliaia di immagini e di sintesi descrittive comparate, praticamente sulla quasi totalità delle Epipactis europee. In realtà ho detto database, ma è solo un’aspirazione. Possediamo solo dati molto ben ordinati, ma li tiriamo fuori a mano, essendomi inceppato precocemente nello studio di Access.
Questo tipo di approccio standardizzato, ben documentato e ormai codificato circa il riconoscimento delle differenze morfologiche nelle Epipactis fornisce risultati decisamente soddisfacenti e offre buoni margini di sicurezza anche in presenza di elevate variabilità apparenti delle piante affrontate. Di recente, nello studio di E. rhodanensis è stato formidabile nell’evitare errori, visto che ci siamo imbattuti in popolazioni in ambienti chiusi, con una variabilità così accentuata da poter indirizzare verso specie diverse. Inoltre gli ibridi delle Epipactis sono molto più frequenti di quanto si sospetti, ma spesso difficili da riconoscere e inquadrare.
Con il nostro metodo in genere alla fine cedono: lo scorso hanno abbiamo identificato un raro ibrido helleborine × microphylla, che è stato per un po’ un vero rompicapo. Ma alla fine, giocando sulle affinità morfologiche incrociate delle varie specie, il puzzle si è mostrato nella sua interezza.
Questo per dire che le ricombinazioni morfologiche dovute alla miscela genetica, alla fine ci sono sempre, occorre solo sviluppare gli strumenti tecnici e logici per identificarle.
Andando ora al lavoro genetico sulle Epipactis, oggi ho voluto confrontare i nostri dati di E. atrorubens con quelli di E. muelleri, che lì vengono apparentate. Sapete di 45 variabili documentate quante corrispondono tra le due specie? Zero. Mentre le geneticamente divise muelleri e placentina si sovrappongono per oltre 85%. Sono dati così, non posso affermare che noi abbiamo ragione e altri torto, ma comunque sono elementi sicuramente determinanti per risolvere altri casi complessi, e restano lì a testimoniare una realtà parecchio contraddittoria.
Poi vedo che dagli studi genetici esce sempre più ineffabile helleborine, che quasi mi diventa simpatica: 7 aplotipi diversi e tre ribotipi all’interno della stessa specie. Invece distans, flaminia, greuteri, meridionalis, placentina, pontica, purpurata, gracilis e parecchie altre, risultano tutte unite, con identici aplotipo E1 e ribotipo R1. Lo staff del prof. Cozzolino ha fatto il suo lavoro e pubblicato i dati ottenuti, ma mi sembra palese l’esistenza di qualche problema: in questo elenco vi sono piante troppo diverse tra loro, anche in presenza di questi due frammenti genetici non capisco quanta altra comunanza possa esserci.
Chiedo a Luca, è possibile che la scelta di un segmento genetico da valutare (spero di non esprimermi con eresie) possa risultare infelice e magari confrontando una diverso segmento avrebbero potuto esservi risultati più coerenti con la realtà fenotipica? E’ possibile che un segmento esprima legami parentali molto antichi, mentre i geni responsabili del fenotipo risultino più recenti e dislocati in posizione diversa? Formulo domande forse idiote, ma solo per il bisogno di tentare una risposta a dati che a me sembrano scontrarsi aspramente con la realtà.
Ho poi visto che vi sono delle stranezze per la collocazione di popolazioni in qualche specie, ma lì si tratta probabilmente del regalo inopportuno di qualche raccoglitore poco avveduto. Infine grazie ancora, perché non avrei mai pensato, prima di morire, di poter sorbire un the dissertando con studiata noncuranza di aplotipi e ribotipi. Ciao Riccardo


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Caro Riccardo,
non è facile rispondere alle tue domande, e mi piacerebbe che lo stesso Cozzolino, o altri ricercatori universitari che più di me hanno familiarità con questo tipo di ricerche, intervenissero nella discussione. Sono andato a rileggere in modo un po' più approfondito l'articolo, e di questioni di cui non abbiamo ancora parlato, e che sono riportate in quelle pagine, ce ne sono ancora parecchie, ma ci arriveremo. Provo a risponderti, anche se non sono certo di poter soddisfare le tue domande.

è possibile che la scelta di un segmento genetico da valutare (spero di non esprimermi con eresie) possa risultare infelice e magari confrontando una diverso segmento avrebbero potuto esservi risultati più coerenti con la realtà fenotipica?

Credo che se i genetisti avessero già individuato la miglior sequenza in assoluto per trarre conclusioni di tipo filogenetico, è ovvio, probabilmente non saremmo qui a discutere, ma avremmo già risolto tutti i dubbi, con una pubblicazione che probabilmente ci direbbe quali specie sono valide, quali no, e quali possiamo metterle sicuramente in sinonimia. Il problema è, che credo, che una simile sequenza non esista. Mi spiego meglio! Maggiori sono le informazioni che abbiamo sull'intero genoma di un organismo, e meglio possiamo comprenderne il funzionamento e la sua storia evolutiva. Se pensiamo alla nostra specie e al Progetto Genoma Umano, la prima bozza del genoma è stata rilasciata nel 2000 mentre quella completa si è avuta nel 2003 e ulteriori analisi sono ancora in corso di pubblicazione, dato che manca all'appello circa un 1 - 2 % di sequenze non ancora ben definite. Ma tutto questo non ha rappresentato che l'inizio! Ulteriori sfide e ricerche sono subito iniziate, perché una volta nota la sequenza del DNA, ovvero una serie infinita di A, C, G e T, di queste lettere (nucleotidi) ce ne facciamo ben poco! Occorre capirne il funzionamento, il ruolo di ogni singolo gene, e ancora più importante, come questi vengono regolati e quali sono le porzioni di DNA deputate a regolarne l'espressione! Per molti geni siamo ancora molto distanti da capirci qualcosa!

Per le piante è lo stesso, anzi forse peggio, perché per quanto ne so, di nessuna orchidea spontanea abbiamo l'intero genoma nucleare sequenziato, ne credo, quello plastidico. Credo che si avrà un'idea più chiara e definitiva quando saranno disponibili i sequenziamenti di interi genomi e non solo di piccole parti. Ma questo è strettamente legato, ahimè, anche ai finanziamenti per la ricerca scientifica, che in Italia sono sempre meno! Al di là di queste considerazioni da mercato, già oggi è comunque possibile trarre alcune conclusioni di tipo filogenetico, andando a lavorare su sequenze che hanno proprietà particolari. Parlo di "sequenze" al plurale, perché si lavora sempre di più non su un'unica sequenza, ma su più di una, su quelle sequenze, ad oggi note, più adatte a questo tipo di studi. Per gli studi di filogenesi molecolare, le più usate sono senza dubbio le regioni ITS (nuclear Internal transcribed spacer) sequenze non geniche, nel senso che non formano un gene, non contengono quindi una informazione genetica da trascrivere e tradurre in proteine. Sono sequenze spaziatrici, ovvero porzioni di DNA, i cui scopi ipotizzati sono molteplici, tra cui ad es. quello di assorbire in modo non deleterio mutazioni casuali. Essendo sequenze non funzionali, le mutazioni possono anche accumularsi, senza generare problemi all'organismo. Esse hanno quindi un elevato grado di variabilità anche tra specie affini, in quanto su di loro agisce una bassa pressione evolutiva. Ed è proprio questa loro alta variabilità anche tra specie affini, che le rende utili per studi di tipo filogenetico.


E’ possibile che un segmento esprima legami parentali molto antichi, mentre i geni responsabili del fenotipo risultino più recenti e dislocati in posizione diversa?

Come avrai compreso dalla risposta precedente, e per le ragioni sopra esposte, le sequenze analizzate non hanno di fatto nulla a che vedere con i geni che codificano le caratteristiche fenotipiche di una certa pianta. Quello che però posso dirti dopo aver approfondito un po' la lettura dell'articolo è che in questo studio a mio avviso gli autori hanno fatto molto più di quanto avrei immaginato. Leggendo il paragrafo Molecular analyses che avevo saltato, gli autori dichiarano che per definire l'aplotipo plastidico di queste Epipactis hanno fatto uno screening iniziale, ovvero sulle specie più comuni hanno valutato almeno 6 sequenze dfferenti, prima di segliere quale usare! In particolare hanno sequenziato le seguenti regioni: una sequenza spaziatrice intergenerica tra psbA-trnH, l'introne trnL, rpoB, rpoC1, ndhJ e infine lo spaziatore intergenerico tra rbcL-accD, con lo scopo di identificare potenziali sequenze chiavi per la diversità genetica del genoma plastidico di queste orchidee. Forse è per questo che inizialmente i risultati si sono fatti attendere a lungo, perché stavano cercando la migliore sequenza da utilizzare! Dall'allineamento delle sequenze di questo screening preliminare la maggior diversità genetica tra le regioni analizzate è stata trovata proprio nello spaziatore intergenerico della regione rbcL-accD (rbcL e accD sono due geni consecutivi) e da qui la scelta di utilizzare tale sequenza, abbinata comunque al ribotipo nucleare (rRNA), basato sulla sequenza ITS 1, che nelle Epipactis si è visto essere più variabile della ITS 2.

Il gene rbcL (ribuloso-bifosfato carbossilasi) è un gene che era già stato utilizzato anche in passato per queste sue proprietà per fare analisi di filogenesi su altri tipi di piante, come per esempio le Pteridofite, dimostrando per esempio che alcune felci morfologicamente molto diverse appartengono invece a generi strettamente correlati. Il gene accD (Subunità B carbossiltransferasi, dell' acetil-coenzima A carbossilasi) è invece un gene che si è visto essere indispensabile e necessario per lo sviluppo delle foglie nelle piante di tabacco.


Leggendo l'introduzione e materiali e metodi dell'articolo di Cozzolino, viene evidenziato che la regione mediterranea è una dei maggiori punti caldi di biodiversità del pianeta e ospita una elevetà diversità di piante e animali, probabilmente perchè ha rappresentato una sorta di rifugio durante le glaciazioni, limitando il numero di estinzioni, e favorendo l'emergenza i nuovi taxa. In questo quadro, sembrerebbe che le Epipactis abbiano colonizzato la nostra penisola molto recentemente dal punto di vista geologico, probabilmente durante la più recente fase dell'era Quaternaria. Per comprendere dunque il ruolo della penisola italiana nel promuovere la diversificazione dei taxa delle Epipactis, hanno analizzato sia le regioni ITS presenti a livello nucleare, sia le variazioni delle sequenze plastidiche. Come avevo già detto, a differenza dei soli markers ITS nucleari (ribotipo basato sull'rRNA) che hanno una ereditarietà biparentale, il DNA plastidico è ereditato solo dalla pianta materna nelle orchidee, e quindi fornisce un marker seme-specifico. Pertanto, l'utilizzo congiunto di marcatori plastidici e nucleari, in un contesto filogeografico, può aumentare la capacità di rilevare gli effetti dell'ibridazione tra i taxa strettamente connessi e contribuire a distinguere gli effetti del flusso di polline vs. semi, nel plasmare la struttura filogeografica delle popolazioni attuali.


Gli autori all'inizio dell'articolo si pongono delle domande, alle quali danno delle risposte negli ultimi paragrafi:

1) I taxa strettamente correlati di Epipactis possono essere il risultato di più percorsi indipendenti di colonizzazione della penisola italiana?
2) E' possibile che E. helleborine e specie affini si siano separate dalle altre Epipactis solo recentemente nell'Italia peninsulare?
3) La tassonomia su base morfologica riflette i modelli di variabilità genetica?
4) La documentata transizione a una strategia di auto-impollinazione può contribuire a plasmare il quadro di entità attualmente presenti nel gruppo di E. helleborine, la loro diversificazione da una origine comune e la loro distribuzione?


Prima di continuare a leggere le risposte, vorrei però fare una breve considerazione conclusiva. Al di là del contenuto strettamente presente nel DNA, ci sono molti fattori di carattere epigenetico (meccanismi diversi dai cambiamenti nella sequenza genomica, mediante i quali l'ambiente altera il grado di attività dei geni senza tuttavia modificare l'informazione contenuta, ossia senza modificare le sequenze di DNA) che possono portare una stessa specie a presentarsi in forme differente (si vedano le recenti osservazioni di luciano a proposito delle piante di E. helleborine cresciute all'ombra o in pieno sole). Nell'ambito di una stessa specie, e in una data area geografica, possono poi entrare in gioco anche quelle che vengono chiamate variazioni clinali, ovvero una graduale variazione di una o più caratteristiche morfologiche (fenotipo). A maggior ragione credo quindi che non debba spaventarci l'ipotesi che specie magari imparentate alla lontana, possano essere morfologicamente molto differenti, tanto da far pensare che non lo fossero, o addirittura che fossero più affini ad altre specie.
Del resto, non dobbiamo però neanche dimenticarci che esiste anche la convergenza evolutiva ovvero il fenomeno opposto, per cui specie geneticamente diverse, che vivono nello stesso tipo di ambiente, o in nicchie ecologiche simili, sulla spinta delle stesse pressioni ambientali, si evolvono sviluppando per selezione naturale determinate strutture o adattamenti che li portano ad assomigliarsi fortemente, talvolta fino ad essere indistinguibili morfologicamente. ;)

Un caro saluto a tutti,
Luca


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MessaggioInviato: 27 giugno 2012, 17:56 
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Orchidofilo Junior

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Per fare un esempio di CONVERGENZA EVOLUTIVA, mi è venuta in mente la mia amata entomologia ed in particolare una delle famiglie sulla quale mi sto concentrando ultimamente. La Famiglia dei Curculionidae.
Nelle Filippine, e solo lì, esiste una tribù di questa famiglia (tribù dei Pachyrrhynchini), di splendidi insetti dai colori piuttosto sgargianti, che piano piano stò raccogliendo nella mia collezione. ;) ;)
Beh! Credo che questo sia uno degli esempi più eclatanti di convergenza evolutiva. Infatti, insieme a questi splendidi Curculionidi, nelle Filippine, convivono nello stesso habitat altri coleotteri, che all'apparenza sembrano praticamente identici, ma che invece appartengono ad una Famiglia diversa, infatti i "sosia" sono dei Cerambycidae!!!!! :shock: :shock: :roll: :roll: :shock: :shock:
Sulla sinistra della foto estratta da questa pagina: http://salagubang.net/blog/2010/04/17/a-new-and-interesting-salagubang-ebook-for-download/
potete vedere il Curculionidae, mentre alla sua destra il Cerambycide "imitatore".
Se non è convergenza evolutiva questa!!!.....meditate gente.....meditate!!!

sulla sx: Pachyrhynchus gemmatus (Curculionidae) - sulla dx: Doliops sp. (Cerambycidae)

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Tutto molto interessante. Grazie di nuovo Riccardo


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Località: Fiorano Modenese
Anche se da più parti, arrivano i complimenti, voglio comunque aggiungere i miei a Luca, per le precise e puntuali informazioni di alto valore scientifico che continuamente trova e mette a disposizione di tutti gli utenti di questo Forum. Forum che, a mio parere, sta raggiungendo livelli veramente notevoli e di cui, io personalmente sono ben felice.
Voglio anche ringraziare Riccardo, Leonardo e tutti coloro che intervenendo con le loro argomentazioni, lo rendono un appuntamento veramente piacevole.
Con grande stima e un grande, grande GRAZIE da parte mia.
Bruno.


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MessaggioInviato: 3 luglio 2012, 17:34 
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Nome: Luca
Cognome: Oddone
Località: Mongardino (AT)
Vorrei brevemente tornare sul discorso Epipactis per segnalare altri due lavori, disponibili online.
Il primo riguarda in particolare Epipactis aspromontana, Epipactis schubertiorum, e Neottia nidus-avis.
Il secondo riguarda invece la descrizione di Epipactis robatschiana, poi valutata come varietà o sinonimo di Epipactis placentina.

1) Bartolo G., Brullo C., Pulvirenti S., Scrugli A., Terrasi M.C. e D’Emerico S., 2010 - Advances in chromosomal studies in Neottieae (Orchidaceae): constitutive heterochromatin, chromosomal rearrangements and speciation. Caryologia, Vol. 63, no. 2: 184-191.

2) Bartolo G., D’Emerico S., Pulvirenti S., Terrasi M.C., e Stuto S., 2003 - Cytotaxonomical considerations on Epipactis robatschiana (Orchidaceae), new species from Calabria (S Italy). Vol. 56, no. 4: 439-445

_________________
:ciaoo:
Luca

«Nomina si nescis, perit et cognito rerum» - Se si ignora il nome delle cose, se ne perde anche la conoscenza. C. Linnaeus, Philosophia botanica (1751)

«I was much struck how entirely vague and arbitrary is the distinction between species and varieties. Charles Darwin, On the Origin of Species (1859)

«This disagreement regarding bee orchid diversity represents a particularly extreme example of a phenomenon that frequently afflicts taxonomy - a dichotomy between researchers who divide natural variation into as many units as possible (splitters) and others who aggregate those subtly different units into entities that they consider to be either more easily recognised or more biologically meaningful (lumpers)» - R.M. Bateman

«Un fiore, anche il più insignificante, è la mirabile risultanza di un collaudato progetto genomico, di precisi equilibri ecologici, dell'azione congiunta del sole, del terreno, della pioggia e della rugiada, del vento e degli insetti impollinatori. Quale unica specie consapevole della complessità di questi processi e della preziosità del risultante dono, è nostro dovere promuoverne la conoscenza e prodigarci per la sua protezione» - G. Sciarretta


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Nomenclatura GIROS - Biodiversity Heritage Library - IPNI, International Plant Names Index - Kew Gardens Checklist



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